Nel lessico comune, dire “una pinta” significa semplicemente ordinare una birra. Un modo pratico, diretto, familiare. Ma per gli inglesi, quella parola vale molto di più. È fatta di vetro spesso e di tradizione. Racchiude secoli di pub affollati, conversazioni sul filo del bancone, abitudini che sanno di casa. Una semplice unità di misura che, nel tempo, è diventata parte del carattere nazionale. Ma da dove nasce, davvero, questa pinta?
Quando la misura diventò una cosa seria

Siamo a Londra, nel 1824. Alla Camera dei Comuni si discute di pesi e misure. Troppi mercanti giocano con le quantità, troppi venditori di birra versano quel che vogliono, chiamandolo sempre “una pinta”. A nord dell’Inghilterra significa una cosa, a sud un’altra. È il momento di fare ordine.
Nasce così il Weights and Measures Act. Il Parlamento decide che il gallone imperiale dovrà corrispondere al volume occupato da dieci libbre d’acqua a 62°F, e che una pinta, d’ora in avanti, sarà un ottavo di gallone, ovvero 568 millilitri. Una volta per tutte.
È una decisione che cambia le cose. Dal mercato alle locande, tutto viene calibrato su quella misura, e la birra, in particolare, smette di essere servita “a sentimento”, diventa una questione di precisione, di fiducia. Ancora oggi, nel Regno Unito, la pinta è garantita per legge, ogni bicchiere deve avere un marchio ufficiale, una piccola corona o il simbolo CE, che certifichi la quantità, e se manca qualcosa, il cliente può chiederlo senza esitazione: “top it up”, please.
Il bicchiere che ha fatto la sua parte

Ma la pinta, da sola, non basta, serve un contenitore degno, solido, pratico ed affidabile, ed è qui che entra in scena il bicchiere nonic, quello con la bombatura sotto il bordo che tutti riconoscono, anche senza sapere il nome.
Il brevetto arriva da lontano, Stati Uniti, 1913, a firma di un certo Hugo Pick, ma è solo nel dopoguerra inglese, nel 1948, che questo vetro prende piede davvero, grazie a Ravenhead Glass. La sua forma non è un vezzo estetico, quel rigonfiamento serve a rafforzare il vetro, a impedire che si scheggi, a evitare che i bicchieri si incastrino l’uno dentro l’altro nei lavaggi industriali, e se ti scivola dalle mani bagnate, è proprio quella curva a darti una seconda possibilità per non farlo cadere.
Molti pensano che sia stato inventato in Belgio, dalla celebre azienda Durobor. In effetti, il nome Durobor deriva da dur au bord — “duro al bordo” — e negli anni ’30 l’azienda fu pioniera nella produzione meccanica di bicchieri resistenti. Ma la pinta nonic, quella vera, è tutta britannica, figlia di una cultura che ama l’efficienza silenziosa e le soluzioni semplici, ma intelligenti.
Un gesto quotidiano diventato rito

Con il tempo, quel bicchiere ha smesso di appartenere soltanto alle Bitter e alle Stout. Oggi lo trovi ovunque, con le IPA moderne, con le ale d’importazione, persino con le lager industriali. E nonostante esistano decine di bicchieri pensati per esaltare ogni stile, la pinta resiste, perché non si limita a contenere: rappresenta.
Ci sono anche le half pint, da 284 ml. più leggere, meno impegnative. Ma chi frequenta certi pub ti dirà che con mezza pinta non si fa davvero parte del gioco, la vera pinta, quella che arriva piena fino al segno inciso, è un piccolo gesto di appartenenza. E quando manca qualche millilitro, nessuno si fa problemi a chiedere un rabbocco, la misura è sacra.
La pinta inglese è questo, una porzione di cultura versata in vetro spesso. In un mondo che cambia in fretta, ci sono oggetti che restano immutabili, come un bicchiere spesso, colmo fino al segno, che da due secoli misura più di quanto contiene…
568 millilitri, niente di più, ma assolutamente niente di meno.